Stress da isolamento: alcune riflessioni

Mar 22, 2020 | attualità&psicologia | 0 commenti

L’emergenza sanitaria dovuta all’epidemia del nuovo coronavirus sta mettendo tutti a dura prova: isolamento, limitazioni, nuovi confini ogni giorno; in un modo o nell’altro, per il bene di tutti dobbiamo imparare a conviverci. Ecco alcuni dati sugli effetti psicologici della quarantena più alcuni consigli per gestire lo stress da essa suscitato.

Un po’ per necessità professionale, un po’ per schietta curiosità, ho dedicato questi giorni a cercare informazioni riguardanti i possibili effetti psicologici della quarantena. Detto fatto. Diverse ore di lettura dopo ho cominciato a farmi altre domande su vari argomenti correlati, e mi sono perso in altri articoli su stress, valutazione cognitiva, stili di coping, tutto per partorire qualcosa che potesse essere anche solo minimamente utile in questo momento difficile. Alla fine di questa lunga iniezione scientifica potrei sciorinare uno dopo l’altro tutta una serie di informazioni: i possibili effetti negativi a medio e lungo termine della quarantena sulla salute psicologica, gli stressor (fattori che generano stress) pre e post quarantena, le categorie di persone particolarmente a rischio e le raccomandazioni degli scienziati. Bene. E poi? Chi legge che ne trae? Dati e raccomandazioni, utili ovviamente, ma che altro? È di questo che abbiamo davvero bisogno in questo momento? Riflessioni mie, forse anche superflue, d’accordo, ma mi hanno spinto a cercare di fare qualcosa di più. Ma andiamo per ordine, perché nonostante tutto qualche dato ve lo voglio comunque dare.

Gli effetti psicologici della quarantena

Dopo una breve e forse superflua peregrinazione per i maggiori database ho concentrato la mia attenzione su un recentissimo articolo[1] “review” (ovvero che analizza la produzione scientifica su di un determinato argomento per poi trarne le somme) che ha preso in esame 24 ricerche che si sono occupate di indagare sugli effetti psicologici della quarantena (il fatto che sia recente non è un caso). Già a questo punto devo premere pausa e fare una riflessione estemporanea: in questo momento noi, noi Italiani, siamo in quarantena? Non saprei. Dobbiamo restare in casa, d’accordo, ma siamo in casa nostra e gli spostamenti sono comunque possibili in caso di necessità. Poi, sebbene ci siano controlli anche piuttosto serrati da parte delle forze dell’ordine, non c’è un secondino che passa ogni quarto d’ora davanti alla soglia di casa. Scrivendo questo non voglio sminuire la gravità della situazione attuale ma solo contestualizzare meglio le informazioni che sto per riportare: le ricerche analizzate dalla review si riferiscono a casi di quarantena con restrizioni molto severe, spesso svoltisi non in casa propria ed a volte in luoghi non esattamente felici e amichevoli (strutture militari, ospedali da campo ecc.); casi del genere ci sono già stati e ancora ci sono in Italia, ma non credo che la situazione generale possa annoverarsi fra quelle prese in esame.

Tenendo a mente quanto appena detto e invitando alla cautela nei confronti, torniamo alla review. Come già intuitivamente potreste pensare, la quarantena non fa molto bene alla nostra salute mentale: in un numero rilevante di casi si sono registrati sintomi ascrivibili a quello che il DSM 5[2] chiama disturbo acuto da stress (tra cui evitamento di situazioni legate allo stress originario, intrusioni, stato di continua allerta); si sono poi registrati alcuni sintomi correlati alla depressione. Senza entrare troppo nel dettaglio, basti sapere che raramente tali sintomi erano sufficienti per una diagnosi psicopatologica vera e propria e solo in alcuni casi essi persistevano anche a distanza di mesi.

Sono poi stati documentati i maggiori fattori di stress durante la quarantena: la durata (più è lunga peggio è), la paura di essere contagiati e/o di contagiare altri, frustrazione e noia (per l’impossibilità di vedere i nostri cari, di svolgere le nostre attività abituali, …), l’eventuale scarsità (effettiva o percepita) di approvvigionamenti alimentari e medici  e l’eventuale inconsistenza, parzialità e mancanza di trasparenza nelle informazioni fornite dalle autorità. La review identifica anche due possibili fattori di stress post quarantena: la stigmatizzazione e la preoccupazione riguardo alla propria situazione economica/lavorativa.

Gli autori cercano poi di fornire una serie di suggerimenti rivolti alle autorità, utili per cercare di ridurre o evitare i potenziali effetti psicologici negativi derivanti dalla quarantena: ridurla ad un tempo minimo e indispensabile, dare più informazioni possibili anche attivando canali specifici, garantire un adeguato e continuo approvvigionamento, fornire consigli per ridurre la noia e per gestire lo stress, sviluppare servizi di supporto psicologico appositamente per il personale sanitario (il quale, come più volte sottolineato nella review, costituiscono probabilmente la categoria più a rischio anche da un punto di vista psicologico), fare appello alla responsabilità individuale piuttosto che (o prima di) adottare misure coercitive.

Anche tenendo a mente quanto detto prima riguardo al confrontare la nostra situazione con quelle prese in esame dalla review, direi che i consigli dati sono sicuramente utili (in parte si sovrappongono a provvedimenti già presi in Italia) e che i fattori di stress rilevati sono probabilmente rilevanti anche per noi. È facile sentire sulla propria pelle alcuni di essi: l’incertezza e lo smarrimento, la frustrazione per non poter uscire quando si vuole e per l’impossibilità di dedicarci alle attività all’aperto che più amiamo; è molto probabile che tutti ora, chi più chi meno, sperimentino queste sensazioni.

Gestire lo stress

Abbiamo appurato che l’emergenza sanitaria in cui ci troviamo è possibile fonte di stress; scommetto che ci eravate già arrivati da soli. Cosa si può fare allora? Ognuno di noi reagisce in modo diverso: ognuno con le proprie risorse, le proprie strategie per gestire lo stress. In psicologia[3] ci si riferisce a queste strategie con il termine coping (dall’inglese: fronteggiare, gestire). Si tratta di un concetto molto ampio: potrei farvi un lungo resoconto su quali sono queste strategie, come sono state classificate, in che modo possono portare a conseguenze adattive o meno, ma la verità è che sebbene si possa fare un discorso generale abbastanza interessante, per essere davvero utile (in senso applicativo e non solo conoscitivo) dovrebbe essere effettuato un lavoro individuale sulla singola persona, un’analisi approfondita caso per caso. Ciò che invece potrebbe essere più utile in senso generale è la rivalutazione del significato dell’isolamento che stiamo vivendo, cercare di sottolinearne gli aspetti positivi, per quanto possibile. Qualcuno, anzi molti lo hanno già fatto, soprattutto sui media, invitando a vedere questa esperienza come un’opportunità piuttosto che come una restrizione. Ma un’opportunità per fare cosa? Cosa significa esattamente? Purtroppo, ciò di cui probabilmente vi sarete già resi conto, è che si tratta di un compito non molto semplice.

È e rimane frustrante non poter uscire quando si vuole, specialmente se le nostre attività preferite si svolgono all’aperto; in questo caso si sarà più portati ad esacerbare il senso di frustrazione, magari fino alla rabbia vera e propria. Riuscire a vedere degli aspetti positivi anche quando sembra impossibile farlo è in realtà una scelta: è molto più facile rimuginare sulle privazioni subite, che sono già al centro della nostra attenzione, magari dal momento in cui ci svegliamo, piuttosto che immaginare possibili risvolti positivi, perché richiede sforzo, impegno, ottimismo. Inoltre, non è certo semplice reinventarsi rinunciando a quelle attività che in un certo senso ci rappresentano. Una cosa è sicura: positivo o negativo che sia, ora abbiamo molto più tempo libero a disposizione.

Che ne facciamo di tutto questo tempo?

C’è chi ancora lavora molto, ma credo di poter affermare con una certa sicurezza che la maggior parte di noi si ritrova con molto più tempo libero rispetto a prima, tempo che la situazione ci impone di passare a casa. E sono sicuro che in modo più o meno automatico in moltissimi hanno rivolto le loro speranze all’intrattenimento, a quello abituale: televisione, internet, tv streaming, videogiochi e quant’altro, oppure si sono lanciati freneticamente nelle faccende domestiche, nella cura della casa, dedicandosi a riparazioni e lavoretti che da tempo aspettavano di essere fatti. Ricercare una distrazione o mantenersi occupati possono essere considerati come strategie di gestione dello stress, ovvero strategie di coping. Ora però non voglio mettermi qui a scrivere commenti e valutazioni su queste strategie in termini scientifici, vorrei discostarmi un attimo dal rigore metodologico e provare a ragionare liberamente sulla faccenda. È un modo come un altro per dire che dovete prendere con le pinze quello che sto per scrivere, è una mia opinione, basata per lo più sulla mia esperienza in generale, ed è vostro sacrosanto diritto essere in disaccordo con me. Detto questo arriviamo al nocciolo: come possiamo usare al meglio tutto il tempo libero con cui ci ritroviamo a fare i conti? Partiamo dall’intrattenimento, la carta che sono sicuro si giocheranno in molti. Secondo me (ed è un pensiero che potrete ritrovare trattato in modo molto più ampio nel lavoro dello scrittore David Foster Wallace) esistono diverse qualità di intrattenimento e diversi motivi per cui dovremmo dedicarci ad uno piuttosto che ad un altro. Semplificando estremamente la questione potremmo dire che esiste un tipo d’intrattenimento “semplice” (uso un termine forse impreciso ma più neutro; per non dire commerciale, superficiale) ed uno più “impegnato”; non è una classifica di in base alla qualità tecnica, quanto piuttosto una distinzione sulla base dello sforzo che è richiesto allo spettatore, o viceversa al livello di passività che gli impone: un film molto “semplice” può anche essere molto complesso dal punto di vista meramente tecnico. Il primo esempio che si può fare per spiegare il concetto è “libro vs film”: un libro richiede un investimento di tempo ed energie mediamente maggiore rispetto ad un film. Ciò non vuol dire che la stessa distinzione non sussista all’interno della stessa categoria: la considererei invece come una specie di criterio generale, anche per confrontare un libro con un altro, o un film con un altro, o un pezzo musicale con un altro e così via (esistono romanzi “impegnati” e romanzi “semplici”, film “impegnati” e film “semplici”; insomma avete afferrato). Sembra implicito che l’intrattenimento “impegnato” sia da preferire a quello “semplice”, ma perché?

L’idea è che se ciò che ci intrattiene ci stimola e ci richiede uno sforzo di comprensione, ne otterremmo un arricchimento, una crescita personale maggiore. E un buon motivo per cercare di ridurre la quantità di intrattenimento “semplice” è che spesso è fatto in modo da lasciare un vuoto emotivo/esistenziale (ok, forse esagero) in chi ne fruisce, un vuoto che guarda caso può essere riempito solo con altro intrattenimento della stessa tipologia. Le conseguenze mi sembrano ovvie. Con questo non voglio dire che bisogna sentirsi in colpa ogni volta che ci spariamo del puro e semplice intrattenimento, né che il mondo sia tutto nero o bianco, spero solo di stimolare qualche riflessione in più prima di decidere cosa guardare/leggere/ascoltare.

Potrei fare un discorso analogo con le attività, gli hobby che scegliamo di fare nel nostro tempo libero. In questo caso lo sforzo che possiamo fare per alzare l’asticella è di tipo creativo: siamo noi gli attori. Più ciò che facciamo richiede uno sforzo creativo (e non sempre è una cosa piacevole, almeno in corso d’opera) più alla fine saremmo soddisfatti ed orgogliosi di ciò che abbiamo fatto e saremmo portati a farlo vedere/ascoltare/leggere ad altri; più ciò che facciamo è semplice e meccanico e più lo disprezzeremo e lo nasconderemo; in alcuni casi non vedremmo l’ora che finisca. Tra questi due estremi c’è il mondo, ma l’estremo positivo ha un nome ed è arte. Questa è una parola che può far paura, magari in molti saranno portati a dire: “no, non fa per me” o “sono negato”. Secondo me invece vale la pena almeno provarci, in qualche modo. Pensateci: l’arte è qualcosa di primitivo e naturale per ogni essere umano; magari non saremmo tutti in grado di scorgere l’infinito oltre la siepe ma è fin dall’alba della nostra specie che tendiamo, fors’anche maldestramente, a farlo, che vediamo in un pezzo di carbone un mezzo per incidere sulla roccia ciò che sentiamo dentro. In fondo cos’è l’arte se non il più potente mezzo di comunicazione di cui disponiamo, resistente al tempo e incurante dello spazio? In un momento storico in cui la distanza e l’isolamento sono così pressanti mi sembra che l’arte, l’atto creativo in sé e ciò che comporta, possa aiutarci molto.

Forse ad alcuni ciò che ho scritto suonerà un po’ troppo astratto, o inutilmente involuto. In ogni caso spero di avervi lasciato qualcosa, un significato in più per quell’opportunità che ci invitano a cogliere, per trasformare lo stress in energia positiva: come provare a migliorarsi attraverso ciò che scegliamo di fare nel tempo che, volenti o nolenti, ci è stato dato in un questo duro periodo.

Note bibliografiche

[1] Brooks, S. K. Webster, R. K. Smith, L. E. Woodland, L. Wessely, S. Greenberg, N. Rubin, G. J. (2020). “The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence”. The Lanchet, 395(10227), pp 912-920.

[2] American Psychiatric Association (2014). DSM 5, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaello Cortina Editore.

[3] Lazarus, R.S. & Folkman, S. (1984). Stress, appraisal and coping. New York: Springer Publishing Company.

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